La piazza di cui si parla è ovviamente quella dei social network con dei post scritti da un imprenditore su Facebook e vari altri social e blog, nel quale egli accusava pubblicamente un suo cliente di non averlo pagato.
In effetti il mancato pagamento da parte del cliente è emerso in maniera incontestabile e le opinioni espresse dall’imprenditore non sono risultate né offensive né volgari e non hanno indotto ad accostamenti suggestivi.
Oltretutto in questo caso il giudice ha evidenziato anche che il cliente moroso non è neanche riuscito a provare, se non tramite generiche allegazioni, in cosa sarebbero concretamente consistiti i danni all’onore e al decoro personale che sosteneva di aver subito.
Il Tribunale di Roma si è espresso in favore dell’imprenditore asserendo che è stato esercitato il diritto di critica perché il post pubblicato sul social network risulta fondato su fatti veri e dunque coperto dal diritto alla libera manifestazione del pensiero garantita dalla Costituzione (art.21).
Ma come sempre accade ai fini dell’incertezza del diritto ci sono dei precedenti contrari. Un precedente è rintracciabile in una sentenza della Cassazione (sent. n. 39986/2014). La sentenza trattava il caso di un’affissione condominiale dove sul portone del condominio veniva affissa la comunicazione che conteneva nominativi di condomini morosi.
Anche in presenza di un effettiva morosità degli stessi condomini questa costituiva una condotta diffamante, non sussistendo alcun interesse da parte di terzi (non condomini transitanti dal portone) alla conoscenza di quei fatti, anche se veri. Quindi l’affissione in “una bacheca” pubblica anche se a uso privato sembrerebbe non condivisibile ma certo è che la “bacheca” facebook è ancora più grande.
Per trovare un precedente più simile a quello dibattuto nel Tribunale di Roma (sempre di parere contrario) dobbiamo guardare il dispositivo della Cassazione (sent. n. 1269/2015.) dove un uomo è stato ritenuto colpevole per avere caricato su YouTube in una rubrica denominata “Facce da schiaffi” il nome di un suo debitore reo di non avergli saldato una fattura.
Anche per gli amministratori della pubblica amministrazione che volevano mettere alla gogna chi non pagava i tributi c’è stato uno stop dal Garante della Privacy, Infatti il Garante sostiene che il mancato pagamento di un tributo può essere dovuto a decine di motivi diversi dei quali la pubblicazione piatta di un elenco di morosi non darebbe conto né ragione, finendo, di fatto, con il mettere sullo stesso piano chi non paga le tasse per furbizia, astuzia o, comunque, scelta consapevole con chi non le paga perché le condizioni economiche non glielo consentono o a seguito di una contestazione dovuta, magari, ad un errore della stessa amministrazione.
Sicuramente più simpatico il gestore di un Lap Dance di Chioggia che sulla pagina facebook del locale ha postato un avvertimento inequivocabile:”Presto verranno pubblicati i nomi e le foto (se disponibili) delle persone che dalla chiusura del Cristal Lap Dance non hanno saldato i conti in sospeso.
Giusto per informare colleghi e ragazze di altri locali chi sono questi infami poveracci che vanno in giro a fare debiti”. Panico nella popolazione maschile.
Sembra invece una trovata pubblicitaria quella di un web designer che dopo aver realizzato il sito e non essere stato pagato mette sulla home page del cliente un’immagine (vedi la foto del post) con la foto del debitore e la sua scrivendo che il tizio gli deve 1050 €.
Infatti dopo l’euforia dei primi commentatori dell’iniziativa (la cui liceità contiene una buona dose di difficoltà dal punto di vista giuridico) e dopo il lancio dell’hashtag #justmymoney si è cominciato a dubitare della verità di questa gogna mediatica.
In particolare se fosse vera la vicenda il nostro “eroe” avrebbe un bel po di gatte da pelare sia dal punto di vista penale (Art. 392 codice penale Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose; Art. 595 codice penale Diffamazione) sia dal punto di vista civile in merito alla tutela dell’immagine, del decoro, dell’onore, della dignità, della reputazione, del trattamento dei dati personali, senza contare le ripercussioni dal punto di vista professionale.
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